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La direttiva Bolkestein, formalmente direttiva 2006/123/CE, è la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione Europearelativa ai servizi nel mercato interno, presentata dalla Commissione Europea nel febbraio 2004. La direttiva è stata definitivamente approvata da Parlamento e Consiglio, profondamente emendata rispetto alla proposta originaria, il 12 dicembre 2006, divenendo la direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006. La direttiva è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea (L 376) il 27 dicembre 2006[1] ed è stata recepita dall'Italia mediante il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 94 del 23 aprile 2010.
La direttiva è basata sugli articoli 47.2 e 55 del Trattato della Comunità europea. La procedura legislativa di riferimento è la codecisione. Frits Bolkestein, commissario europeo per il mercato interno della Commissione Prodi, ha curato e sostenuto questa direttiva, che per semplicità viene indicata con il suo nome.
Il processo di approvazione della direttiva è stato a suo tempo interrotto in seguito alle forti polemiche che sono nate intorno ad essa; in particolare, la direttiva è stata indicata come la prova di una deriva liberista che, secondo la sinistra radicale, i verdi ed alcune formazioni sociali, starebbe investendo l'Unione europea. L'accesa discussione sulla direttiva ha avuto anche riflessi in altri campi: è stata individuata come una delle cause della disaffezione dei cittadini europei verso le istituzioni, ed è stata considerata una delle ragioni del fallimento delreferendum francese, nonché di quello olandese, sulla Costituzione europea.
Obiettivi della direttiva [modifica]
Secondo il parere della Commissione Europea, che nel luglio 2002 ha presentato una relazione sullo stato del mercato interno dei servizi, l'integrazione del mercato interno in questo ambito è ben lontana dallo sfruttare in pieno le potenzialità di crescita economica. La direttiva Bolkestein ha quindi come obiettivo di facilitare la circolazione di servizi all'interno dell'Unione europea, perché i servizi rappresentano il 70% dell'occupazione in Europa, e la loro liberalizzazione, a detta di numerosi economisti, aumenterebbe l'occupazione ed il PIL dell'Unione europea. La direttiva Bolkestein si inserisce nello sforzo generale di far crescere competitività e dinamismo in Europa per rispettare i criteri della Strategia di Lisbona. Inoltre la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei prestatori di servizi sono importanti diritti dei cittadini europei, e sono alcune delle libertà economiche principali presenti già nel Trattato di Roma del 1957.
La direttiva non intende disciplinare nello specifico l'ampio settore dei servizi: si propone come un direttiva-quadro, che pone poche regole molto generali e lascia agli stati membri la decisione su come meglio applicare i principi da essa enunciati. Il principio generale a cui si ispira è stato individuato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella famosa sentenza Cassis de Dijon, del 1979, relativa alla libera circolazione dei beni. La Corte aveva sostenuto che se un bene è prodotto e commerciato legalmente in uno stato europeo, gli altri stati membri non possono limitarne la circolazione bensì presupporre la sua conformità. Si tratta in parole povere di un principio di mutua fiducia, che ha permesso di eliminare in un colpo solo molte minute differenze di regolamentazioni che limitavano i progressi del mercato interno. La direttiva Bolkestein intende utilizzare un simile principio nel settore dei servizi.
La direttiva non riguarda alcuni ambiti disciplinati a parte de altre norme comunitarie: i servizi finanziari, le reti di comunicazione elettronica, i servizi di trasporto, il settore fiscale.
Contenuto della proposta originaria
La direttiva è organizzata su tre ambiti, concernenti l'eliminazione degli ostacoli alla libertà di stabilimento, l'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione dei servizi e, infine, l'instaurazione della fiducia reciproca tra stati membri.
Libertà di stabilimento
La direttiva Bolkestein intende semplificare le procedure amministrative, eliminare l'eccesso di burocrazia e soprattutto evitare le discriminazioni basate sulla nazionalità per coloro che intendono stabilirsi in un altro paese europeo per prestare dei servizi. Per raggiungere questi obiettivi propone la creazione di sportelli unici dove i prestatori di servizi possano portare a termine tutte le formalità necessarie, la possibilità di espletare queste procedure via internet, l'eliminazione di requisiti burocratici inutili, autorizzazioni discriminatorie e discriminazioni basate sulla nazionalità.
Libera circolazione dei servizi
La libera circolazione dei servizi si differenzia dallo stabilimento perché riguarda i casi di chi si sposta temporaneamente da un paese all'altro con l'obiettivo di fornire un servizio limitatamente nel tempo. In questi casi non sono necessarie le registrazioni che si compiono nel caso dello stabilimento, ma si deve decidere a quale legge risponde chi attraversa le frontiere con questo scopo. La direttiva adotta il principio del paese di origine, secondo il quale un prestatore di servizi che si sposta in un altro paese europeo deve rispettare la legge del proprio paese di origine. Questo per incoraggiare i prestatori di servizi a spostarsi senza doversi informare su 25 diverse legislazioni nazionali. Il principio del paese d'origine è stato totalmente abbandonato nella versione definitiva della direttiva.
Il principio del paese d'origine riguarda principalmente aspetti legali quali diplomi, regolamenti, necessità di autorizzazioni particolari. Ne è quasi del tutto escluso il diritto del lavoro, che è già regolamentato dalla direttiva 96/71/CE. Sono dunque escluse dal principio del paese d'origine tutte le tutele fondamentali dei diritti dei lavoratori, compreso il salario minimo, salute, igiene, sicurezza, diritti delle gestanti e puerpere, diritti di bambini e giovani, parità di trattamento tra uomo e donna, ferie retribuite. Resterebbero soggetti al principio del paese di origine il diritto di sciopero, le condizioni di assunzione e di licenziamento, gli oneri previdenziali.
Esistono anche altre deroghe generali al principio di origine, soprattutto materie regolate a parte da altre norme europee, tra cui le principali sono: i servizi postali; la distribuzione di energia elettrica, gas, acqua; le qualifiche professionali; i diritti d'autore; le ragioni di ordine pubblico, salute o sicurezza.
Esistono deroghe transitorie al principio di origine: trasporto di fondi, giochi d'azzardo, recupero giudiziario di crediti.
In casi eccezionali, uno stato può applicare deroghe per casi individuali al principio di origine, tra cui le principali sono: esercizio di una professione sanitaria, tutela dell'ordine pubblico.
A chi riguarda il D.Lgs. n. 59/2010
Il comma 1, dell’articolo 1, del D.Lgs. n. 59/10, stabilisce che ”le disposizioni del presente decreto si applicano a qualunque attività economica, di carattere imprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di subordinazione, diretta alla scambio di beni o alla fornitura di altra prestazione anche a carattere intellettuale”.
All’articolo 2 vengono individuate le attività nei confronti delle quali il decreto non si applica:
a) alle attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri, quando le stesse implichino una partecipazione diretta e specifica all’esercizio del potere pubblico e alle funzioni che hanno per oggetto la salvaguardia degli interessi generali dello Stato e delle altre collettività pubbliche;
b) alla disciplina fiscale delle attività di servizi;
c) ai servizi d’interesse economico generale assicurati alla collettività in regime di esclusiva da soggetti pubblici o da soggetti privati, ancorché scelti con procedura ad evidenza pubblica, che operino in luogo e sotto il controllo di un soggetto pubblico. Le disposizioni del decreto non si applicano, inoltre, nei casi previsti negli articoli da 3 a 7 e precisamente:
• servizi sociali (art. 3);
• servizi finanziari (art. 4);
• servizi di comunicazione (art. 5);
• servizi di trasporto (art. 6);
• servizi di somministrazione di lavoratori forniti dalle agenzie per il lavoro, autorizzate ai sensi del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;
• servizi sanitari e a quelli farmaceutici forniti direttamente a scopo terapeutico nell’esercizio delle professioni sanitarie, indipendentemente dal fatto che vengano prestati in una struttura sanitaria e a prescindere dalle loro modalità di organizzazione, di finanziamento e dalla loro natura pubblica o privata;
• servizi audiovisivi, ivi compresi i servizi cinematografici, a prescindere dal modo di produzione, distribuzione e trasmissione, e i servizi radiofonici;
• gioco d’azzardo e di fortuna comprese le lotterie, le scommesse e le attività delle case da gioco;
• servizi privati di sicurezza;
• servizi forniti da notai (art. 7).
Cosa cambia in materia di somministrazione e commercio
Con gli artt. dal 64 al 72, il D.Lgs. n. 59/2010 ha apportato diverse significative modifiche alle normative relative al commercio e alla somministrazione.
Per prima cosa è da dire che sono stati unificati i requisiti di onorabilità e professionalità necessari per l’accesso al commercio su tutto il territorio nazionale.
Relativamente all’apertura degli esercizi di vicinato e delle altre forme speciali di vendita (spacci interni ‐ apparecchi automatici‐vendita per corrispondenza, televisione o altri sistemi di comunicazione ‐ vendite presso il domicilio dei consumatori) al posto della comunicazione è stata prevista la dichiarazione di inizio attività “DIA”, ad efficacia immediata , che consente l’avvio dell’attività contestualmente all’invio della comunicazione al Comune competente per territorio.
Un notevole passo in avanti visto che la previdente normativa prevedeva, come si ricorderà, l’obbligo per l’aspirante commerciante di attendere trenta giorni dalla presentazione della comunicazione.
Per gli esercizi di somministrazione, considerata la necessità di garantire particolari di viabilità ed ordine pubblico, nonché di tutela di zone di pregio storico ed artistico, il decreto ha confermato la necessità del provvedimento di autorizzazione nel caso di apertura.
Per completezza di informazione si evidenzia che il Ministero dello Sviluppo Economico, nella Circolare n. 3635/C, del 6 maggio 2010, ha chiarito che il procedimento di rilascio dell’autorizzazione in questione è soggetto a silenzio assenso per la previsione dell’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e che l’autorizzazione per l’attività mantiene la natura di licenza di polizia ai fini dell’art. 86 del T.U.L.P.S., come disposto dall’art. 152 del R.D. n. 773/1931, modificato dal D.P.R. n. 311/2001, e successivamente precisato dal parere del Ministero dell’Interno del 23 maggio 2007, n. 557/PAS.1251.12001.
In caso di trasferimento di sede e di titolarità e di subingresso (gestione dell’attività), la norma ha previsto due tipi di DIA: ad efficacia differita a trenta giorni e immediata.
Le novità relative all’ambulantato
La novità che negli ultimi mesi ha suscitato in assoluto più proteste nel settore del commercio ambulante è che dall’8 Maggio 2010 l’autorizzazione per il commercio su aree pubbliche potrà essere rilasciata, oltre che a persone fisiche e a società di persone, anche a società di capitali regolarmente costituite o a società cooperative (art. 70, comma 1).
Se da un lato una tale scelta potrà andare incontro ai consumatori che potranno usufruire di prodotti venduti a prezzi inferiori, dall’altro danneggerà inevitabilmente i piccoli ambulanti.
Con il recepimento della Bolkestein, infatti, le licenze per il commercio ambulante non saranno più esclusivo appannaggio delle imprese familiari, come accade oggi, ma potranno essere rilasciate anche alle S.p.A. e alle S.r.l. con il conseguente ingresso sul mercato dei colossi della grande distribuzione.
Sarà quindi concreto il rischio della costruzione di veri e propri monopoli o cartelli, a discapito dei piccoli commercianti, come del resto è avvenuto negli ultimi anni per piccoli negozi a conduzione familiare.
Sicuramente verranno messi a repentaglio decine di migliaia di posti di lavoro in tutta Italia.
La norma ha inoltre previsto che l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di vendita sulle aree pubbliche esclusivamente in forma itinerante dovrà essere rilasciata, in base alla normativa emanata dalla Regione, dal Comune nel quale il richiedente, persona fisica o giuridica, intende avviare l’attività.
E’ da evidenziare che tale autorizzazione abiliterà anche alla vendita al domicilio del consumatore nonché nei locali ove questi si trovi per motivi di lavoro, di studio, di cura, di intrattenimento o svago (art. 70, comma 2).
Altre novità
Agli articoli dal 65 al 69 del Decreto legislativo viene stabilito – come anticipato in premessa - che non saranno più soggette a “comunicazione”, ma a dichiarazione di inizio di attività - da presentare allo sportello unico per le attività produttive del comune nel quale l’esercente ( persona fisica o giuridica), intende avviare l’attività:
a) L’apertura, il trasferimento di sede e l’ampliamento della superficie di un esercizio di vicinato, come definito dall’articolo 4, comma 1, lettera d), del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (art. 65);
b) La vendita di prodotti a favore di dipendenti da enti o imprese, pubblici o privati, di militari, di soci di cooperative di consumo, di aderenti a circoli privati, nonché la vendita nelle scuole e negli ospedali esclusivamente a favore di coloro che hanno titolo ad accedervi, di cui all’articolo 16 del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (art. 66);
c) La vendita dei prodotti al dettaglio per mezzo di apparecchi automatici di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (art. 67);
d) La vendita al dettaglio per corrispondenza, o tramite televisione o altri sistemi di comunicazione, di cui all’articolo 18 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (art. 68);
e) La vendita al dettaglio o la raccolta di ordinativi di acquisto presso il domicilio dei consumatori (art. 69).
Il Decreto Legislativo ha inoltre riformulato i requisiti per l’esercizio dell’attività di vendita e di somministrazione, oltre a quelli relativi all’esercizio in qualsiasi forma di un’attività commerciale alimentare e di somministrazione di alimenti e bevande, anche se effettuate nei confronti di una determinata cerchia di persone, come:
a) al domicilio del consumatore;
b) negli esercizi annessi ad alberghi, pensioni, locande o ad altri complessi ricettivi, limitatamente alle prestazioni rese agli alloggiati;
c) negli esercizi posti nelle aree di servizio delle autostrade e nell’interno di stazioni ferroviarie, aeroportuali e marittime;
d) negli esercizi in cui la somministrazione di alimenti e di bevande viene effettuata congiuntamente ad attività di trattenimento e svago, in sale da ballo, sale da gioco, locali notturni, stabilimenti balneari ed esercizi similari;
e) nelle mense aziendali e negli spacci annessi ai circoli cooperativi e degli enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell’interno;
f) esercitata in via diretta a favore dei propri dipendenti da amministrazioni, enti o imprese pubbliche;
g) in scuole; in ospedali; in comunità religiose; in stabilimenti militari, delle forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
h) nei mezzi di trasporto pubblico.
Conseguentemente sono stati abrogati i commi 2, 4 e 5 dell’articolo 5, del D. Lgs. n. 114/1998 e l’articolo 2 della legge n. 287/1991 (art. 71).
Conclusione
Anche se di primo acchito potrebbe sembrare che la Direttiva Bolkestein e il conseguente Decreto Legislativo di recepimento, abbiano come scopo principale il miglioramento dell’attività economica europea, l’azzeramento di vincoli burocratici e la maggior tutela dei consumatori, nella realtà, come troppo spesso abbiamo riscontrato negli ultimi anni nel nostro Paese e in Europa, le cose non sono quello che sembrano.
I reali obiettivi che la Direttiva Bolkstein intende perseguire appaiono chiari non appena si prova a trasporre nella realtà il testo della stessa, spogliandolo della maschera di falsi buoni propositi che l’hanno accompagnato durante tutte le fasi della sua definitiva approvazione.
Guardandolo con occhio diverso, è così possibile scoprire come fra le pieghe di frasi spesso presentate come slogan quali “l’incentivazione all’espansione transfrontaliera delle imprese” la “riduzione degli oneri amministrativi” “la riduzione dei prezzi attraverso lo stimolo alla concorrenza” “la sequela infinita di vantaggi per il consumatore” e molte altre che non si riporta, si celi invece una realtà destinata a parlare un linguaggio per molti versi contraddittorio.
Ad un’ attenta analisi del testo, infatti, gli ostacoli che la proposta intende veramente smantellare, in Europa e, soprattutto, nel nostro Paese, riguardano la tutela del consumatore, la trasparenza nelle procedure, le garanzie sociali ed ambientali, la qualità dei servizi, la possibilità di prendere decisioni da parte delle autorità locali, etc. a vantaggio delle solite onnipresenti lobby economiche, poteri talmente forti da condizionare pesantemente la politica, l’economia e, di recente, anche la salute dei cittadini europei.
Ma siamo proprio sicuri di averci guadagnato nell’entrare in Europa?